Alla scoperta di una natura ancora selvaggia, dove arte, design e lusso raw convivono di fronte alle onde

di Laura Taccari

L’arrivo a Oaxaca, tra jacaranda, bbq e casette colorate

Per raggiungere l’oceano dalla città di Oaxaca si può decidere di salire a bordo del dodici posti a elica della Aerotucán, ammirando l’altipiano dall’alto e arrivare a destinazione planando vicino alle onde dopo soli trenta minuti. Oppure mettere in conto quasi otto ore di tornanti no stop, attraversando la sierra lungo la Carretera Federal 175. Noi scegliamo la seconda, decisamente meno comoda e meno scenografica, spinti dall’ambizione di farci un’idea meno vaga di quel Messico rurale, che avevamo intravisto ieri, salendo fino al Monte Albán e andando verso est, alla scoperta dei laboratori di ceramica, vanto della regione. 

Nel cortile dell’Escondido Oaxaca, la fontana gorgoglia e dal rooftop arrivano le voci di chi già ozia in piscina, mentre noi sorseggiamo il caffè accompagnato dalle tradizionali brioche glassate e dalla forma tonda, in attesa del driver. La pace che anima questo grazioso albergo nel pieno caos della città ha del miracoloso. Di Oaxaca abbiamo apprezzato le chiome rosate delle jacaranda e quelle rosso fuoco dei flamboyant, il magnifico giardino botanico, le trattorie tradizional-innovative, il mercato coperto, i festoni variopinti che si agitano tra i cieli pallidi delle vie pedonali e le casette colorate del centro. 

Ci lasciamo alle spalle le strade di terra della sua periferia, le casupole mai finite, i bbq allestiti senza pretese sul ciglio della strada, le insegne di legno dipinte a mano. Quando iniziamo a scavalcare le foreste di querce e pini, d’un tratto ogni cosa si appropria di un’identità peculiare. Dai finestrini osserviamo un luogo indefinibile, a metà strada tra collina e montagna, tra Topanga Canyon e Big Sur. Josè del Pacifico è una tappa obbligata, colorata mecca per tutti i neo-hippy in cerca di libertà e dei funghi allucinogeni che crescono nei boschi circostanti. Noi compriamo animaletti di lana sferruzzati a mano dalle signore del paese e mangiamo quesadilla con fiore di calabaza, insieme ai lavoratori locali e alle famiglie numerose riunite a mangiare la zuppa all’ora della merenda. In Messico il pranzo è un pasto che non ha limiti temporali, sfocia facilmente con la cena, che invece ha, per assurdo, orari stringati. Poi la luce cambia e compaiono le prime palme. In un attimo siamo dentro a una cartolina che non ha perso il suo smalto con gli anni. 

La natura selvaggia a nord di Puerto Escondidio.

Verso la Sierra Madre

Di Puerto Escondido prendiamo solo un tramonto fluo che appare e scompare tra gli alberghi turistici. Eldorado per i surfisti di mezzo mondo, ma non per noi, che siamo diretti a nord. A San Isidro Llano Grande, in quella porzione di Sierra Madre dove la natura primordiale accoglie inaspettatamente progetti di architetti celebri, lodge pregiati, vacation home sulla sabbia. Quando il driver si infila in una strada sterrata piena di buche, il buio è totale. A complicare ulteriormente le cose, c’è poi il fatto che il nostro hotel è aperto da pochi mesi e le poche proprietà della strada rispondono tutte al medesimo indirizzo, Carretera Federal Salina Cruz, km 113. Dopo alcuni tentativi, arriviamo a destinazione. 

La costa incontaminata a nord di Puerto Escondido.

Una delle suite del Terrestre con vista sulla sierra.

Un albergo alimentato con luce solare senza sprechi di energia

Lo riconosciamo subito l’oceano, con il suo odore salmastro e il fragore delle onde in loop. Varchiamo un cancello di legno quasi totalmente inghiottito dalla vegetazione. Sabbia che entra nei sandali, luci particolarmente soffuse, profumo di may flower. Il Terrestre, parte della famiglia dei Design Hotel, progettato dall’architetto Alberto Kalach, è il primo albergo al mondo “realmente” alimentato con luce solare. Ogni spreco di energia è bandito. La nostra casita è la numero 4. Un felice incontro di cemento e legno. È provvista di torcia, cappelli di paglia, una doccia open-air, di una piscina privata sul tetto e di un’amaca accanto. Manca di aria condizionata e asciugacapelli ma non ne sentiremo la minima mancanza durante il nostro soggiorno. La stanza è sempre ventilata e l’aria sempre calda abbastanza da asciugare anche i capelli lunghi. 

Tutto nasce grazie alla fondazione Casa Wabi, una residenza per artisti 

All’inizio non è facile orientarsi nella notte, ci perdiamo più volte in un labirinto di specie tropicali. Mangiamo tacos prelibati e riso con aragosta e facciamo amicizia con un paio di ospiti e presto realizziamo quanto sia peculiare questa parentesi di mondo. Lo sviluppo creativo dell’aerea è legato al destino di Casa Wabi, fondata dall’artista messicano Bosco Sodi e disegnata da Tadao Ando. La fondazione accoglie residenze di artisti emergenti e li supporta per fare ricerca o realizzare delle opere. Non hanno doveri, l’unico tributo che viene richiesto è lasciare un dono per la casa. 

La raggiungeremo in bicicletta, percorrendo a ritroso la strada di terra che ci ha condotti qua di notte. Negli ultimi dieci anni l’area è cresciuta in maniera organica. Molti amici hanno acquistato un terreno e costruito il proprio buen retiro qui, ma ogni intervento dell’uomo  avviene rispettando l’ecosistema e la comunità. Basti pensare che ogni metro di foresta che viene estirpata, deve essere ripiantato nelle vicinanze. Poi sono arrivati progetti come El Papelillo, probabilmente la sauna più remota del paese, progettata dal duo Lucas Cantù and Carlos Matos dello studio Tezontle di Città del Messico. Da un anno, se si vuol mangiare bontà nipponiche si può. Lo chef Keisuke Hamada delizia dodici ospiti alla volta nella capanna del Kakurega Omakase, anch’essa disegnata dallo studio Tax di Alberto Kalach

Casa Wabi, galleria d’arte e residenza d’artisti.

 «Abbiamo iniziato a investire in questa zona nel 2014, con l’apertura dell’Hotel Escondido, proprio accanto a Casa Wabi e alla casa dell’artista Gabriel Orozco, disegnata dall’architetto messicano Tatiana Bilbao, vicino Roca Blanca», ci aveva spiegato Rafael Micha, socio fondatore del Grupo Habita, catena di hotel che mescola lusso, design e cultura locale, di cui anche il Terrestre e l’Escondido Oaxaca fanno parte, come alcuni degli hotel più patinati di Città del Messico, tra cui Circulo Mexicano, uno dei più spettacolari, proprio accanto alla Cattedrale. 

L’hotel incastonato nella Sierra.

Il ristorante circondato dal giardino selvaggio.

Ancora una volta la natura allena il nostro spirito di adattamento. La vegetazione inizia appena oltre la grande portafinestra a fisarmonica di fronte al letto e sale fino alle montagne della Sierra. Ci abituiamo subito alla sveglia stabilita dagli uccelli, a camminare a piedi nudi e a pulirli prima di entrare in casa nella grande tinozza all’ingresso, a non fare programmi e lasciare che la brezza oceanica metta scompiglio all’improvviso ovunque siamo. Diventiamo osservatori più attenti. I colibrì e e le farfalle tormentano i fiori del giardino soprattutto nella tarda mattinata. I petali di petunia messicana tempestano il giardino di terra rossa perché i fiori di questa pianta vivono solo ventiquattro ore e ne rinascono di nuovi il mattino successivo. Ogni giorno la cagnolina Sandy, mascotte del lodge, ci accompagna nella spa o in spiaggia facendoci strada nel sentiero di radura incolta. Le onde sono uno spettacolo, raggiungono altezze impressionanti, scandite sempre dallo stesso ritmo. È un suono ipnotico, che all’inizio cresce, s’interrompe e poi torna per il boato finale che ci raggiunge ovunque, quasi a ricordarci chi comanda qui.

Il rooftop della casita copiscina privata e il dehor.

Un piatto del ristorante.

Photo Courtesy Terrestre and Design Hotels

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Fuente: @SECTUR_GobOax